Il Ministro Bianchi
(ministro tecnico targato PD) come coordinatore del Comitato di esperti il 20
luglio 2020 presentò all’allora Ministra Azzolina un rapporto per la ripartenza
della scuola; il rapporto, mai divulgato, è stato prontamente pubblicato dal nuovo
ministro e va oggi letto come un vero e proprio documento programmatico del
nuovo corso di viale Trastevere.
Gli elementi di preoccupazione sono molteplici,
perché questo economista posto a capo della scuola pubblica pare avere idee
molto precise sulla direzione che la scuola dovrà intraprendere durante e
soprattutto oltre la pandemia.
Il “Rapporto Bianchi è pieno di quella retorica
economicista che conosciamo bene da anni: competenze, implementazione
dell’Invalsi, compimento dell’autonomia scolastica, scuola digitale, ecc.
Ma alcuni aspetti, pur situandosi nel solco degli
ultimi vent’anni di attacco alla scuola, rappresentano un’implementazione del
processo iniziato con l’autonomia scolastica. Anche la stessa idea di
autonomia, il cui fallimento è ormai sotto gli occhi di tutti, viene
propagandisticamente corretta proponendo una contrapposizione tra un’autonomia
cattiva (quella competitiva di stampo anglossassone) e un’autonomia buona che
viene definita “autonomia solidaristica” e presentata come ideologicamente più
coerente con la nostra tradizione scolastica.
Ma dietro a questa autonomia solidale sta
un’idea-forza che attraversa insistentemente tutto il documento: i patti di
comunità. Si tratta di accordi stretti tra scuole e realtà del territorio
(“enti territoriali, terzo settore, imprese, mondo dell’associazionismo e delle
professioni”), il tutto sostenuto “dalle risorse dei nuovi Fondi comunitari di
cui potrà godere l’Italia nei prossimi anni”. Soldi pubblici dunque immessi nel
sistema pubblico per favorire la sua privatizzazione attraverso un’integrazione
profonda tra scuola e privato di cooperativa (così caro al modello emiliano da
cui proviene Bianchi , ex assessore regionale all’Istruzione). Ma l’idea non è
un semplice affiancamento al tempo scuola; si dice infatti che le scuole
dovranno “predisporre le attività congiunte come parte organica della propria offerta
didattica […] In tal modo attività formali, informali e non formali, possono
essere egualmente riunite in un progetto didattico organico proposto dalla
scuola […]. Sarà compito della scuola dare senso ed unitarietà ad un progetto
organizzativo, pedagogico e didattico ancorato al territorio ”. Insomma la
scuola dovrebbe diventare garante della “qualità” dei prodotti privati che si
affacceranno, dovrà farli entrare strutturalmente nella propria offerta
formativa e tenerne conto nella valutazione degli studenti: “Agli insegnanti
resta la responsabilità di una adeguata rilevazione delle esperienze e dei
saperi acquisiti”.
Gli Organi Collegiali saranno chiamati ad
avvallare la privatizzazione della scuola, quegli organi collegiali ai quali il
Ministro riserva parole di disprezzo: “È necessario eliminare la collegialità
ritualistica, burocratica e standardizzata chiamando in causa lo scopo morale
ed etico della professione”. Noi invece useremo gli spazi di democrazia degli
Organi Collegiali per batterci contro i patti di comunità perché essi
rappresentano un potente volano per la privatizzazione massiccia di interi
settori dell’istruzione attraverso il sistema delle cooperative in cui lo
sfruttamento della forza lavoro è enorme, oltre a rappresentare uno dei pilastri
del potere clientelare. Perché continuare a pagare docenti se è possibile
sfruttare a basso costo la manodopera delle cooperative? Così ore di didattica
a scuola saranno sostituite con corsi tenuti dalle cooperative: perché pagare i
docenti di musica, di arte, di educazione motoria se gli studenti possono
usufruire di corsi forniti dal “territorio solidale”? Non vi è dubbio che
l’economista Bianchi porrà al centro del suo lavoro questo obiettivo:
ridimensionare la parte pubblica dell’istruzione e compensare il taglio di
tempo scuola con l’ingresso delle cooperative lasciando nel contempo ancora più
spazio alle agenzie formative private.
Infatti i patti di comunità si sposano
perfettamente con un altro motivo ricorrente del documento, quello della essenzializzazione
dei contenuti delle discipline: “occorre procedere ad una forte
essenzializzazione del curricolo […]rivisitare i curricoli, andare
all’essenziale delle competenze, sfrondare ciò “che si fa perché si è sempre
fatto e perché è nel libro di testo”; dunque i docenti dovranno fornire
competenze di base (fortemente ridimensionate) a cui si aggiungeranno le
attività complementari fornite dal “privato solidaristico”.
Il tempo scuola viene proposto come fortemente
ridimensionato: “La possibilità di agire anche sulla durata delle lezioni
inserita in una prospettiva di organizzazione che tenda a superare lo
schematismo degli orari, che lasci spazio ad attività personalizzate nei
confronti di ciascun allievo in una logica di raccordo con attività sul territorio”.
Il tutto senza dimenticare di sottolineare quello che viene visto come un
handicap del sistema formativo italiano in quanto non abbiamo ancora tagliato
un anno di scuola superiore “a confronto con quanto proposto in altri Paesi, in
cui i ragazzi possono entrare nel mercato del lavoro con almeno un anno di
anticipo rispetto ai ragazzi italiani”.
Si tratta, brutalmente, di un ridimensionamento
consistente del tempo scuola che significherà un taglio drastico delle cattedre
e un impoverimento dell’offerta formativa, un impoverimento del pubblico che
specularmente arricchirà il privato delle cooperative.
Un modello fluido, che si sposa perfettamente con
il mercato e con altre due idee-chiave che circolano nel documento: da un lato
la personalizzazione del curriculum e dall’altro la distruzione del gruppo
classe. Si parla infatti di “maggiore personalizzazione dei percorsi (sia per
gli studenti più svantaggiati che per quelli eccellenti), ad esempio attraverso
l’aumento della quota di opzionalità a disposizione degli studenti” o di
“lavorare a classi aperte e per gruppi di livello”, una prospettiva di
distruzione del gruppo classe (definito una “gabbia del Novecento”) che è un
intento antico, oggi riproposto come soluzione ai problemi del distanziamento dentro
le aule. Affermano: “Nessuno ha ancora fatto la Personal School, molto più
interessante dell’essere Pubblica o Privata” fingendo di non sapere che proprio
la personalizzazione dei percorsi è l’anticamera della privatizzazione. È
un’idea inversa rispetto alla scuola della Costituzione: oggi nella formazione
delle classi i docenti hanno sempre fatto in modo che in ogni classe fossero
presenti ragazzi con potenzialità diverse per cui tutti svolgono lo stesso
programma in un’idea paritaria di classe scolastica che contiene una precisa
idea di società: è un’idea di uguaglianza, è l’idea costituzionale per la quale
la Repubblica cerca di rimuovere le differenze sociali e culturali di partenza
e la scuola viene investita di una potente funzione di ascensore sociale. Ma
anche la distruzione dell’unitarietà del gruppo classe è un’idea di società,
quella società neoliberista dove la meritocrazia e gli indvidui-monadi devono
tracciare isolatamente, e non collettivamente, il proprio destino. Tale modello
neoliberista permette inoltre, come nelle scuole anglosassoni, di potenziare (e
selezionare) le eccellenze prematuramente e di dare il minimo d’ufficio agli
altri. Il livello socio-culturale con il quale si entra nella scuola, segna in
modo poco superabile il proprio percorso di formazione culturale.
Molti altri spettri si aggirano nel documento: a
una deregulation del sistema scolastico, corrisponde infatti, quasi di
necessità, l’individuazione dei LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), il
volano di quella autonomia differenziata che è uno degli altri pericolosi
obiettivi rispetto a tutti i sistemi pubblici: quando si saranno definiti i
LEP, il privato e il pubblico potranno essere pienamente equiparati e
complementari nell’ottica esplicita della sussidiarietà.
E ancora: il ministro auspica la ripresa del
confronto con i sindacati in merito alla carriera docenti e alla loro
valutazione anche esterna per arrivare a una “definizione di forme di
valutazione/apprezzamento dell’insegnamento, nonché di feed-back circa la sua
qualità”; auspica un aumento delle ore di alternanza scuola lavoro nonché un
accorpamento delle classi di concorso e una riduzione dell’unità oraria di
lezione.
Dobbiamo batterci fuori e dentro le scuole per
respingere la privatizzazione della scuola pubblica che in questi anni, a
differenza di altri settori come la sanità e i trasporti, non è stata
pesantemente appaltata ai profitti del mercato. Si farà leva sulle aree
svantaggiate del Paese, si dirà che i patti di comunità (già attivi in alcuni
territori) serviranno per colmare i gap che la pandemia ha aggravato; ma il
divario non si risolve con meno scuola pubblica, ma con il suo rafforzamento; è
possibile che il Ministro butti pure sul tavolo, come merce di scambio, qualche
migliaio di assunzioni di precari che sono però una goccia nel mare del
precariato.